Racconti
- Storie
L’arciere
cieco
Tanti e tanti
anni fa, al tempo dell’imperatore Federico Barbarossa,
viveva in Lombardia un arciere
dalla mira infallibile, Musio. Egli aveva combattuto valorosamente
nelle schiere della Lega lombarda, uccidendo molti nemici, e la sua
perizia si era rivelata così grande da infondere nei suoi compagni
d’arme tanto coraggio quanto timore nei suoi avversari. Qualcuno
affermava che morire per mano di lui fosse il modo più nobile di
morire in battaglia, se morire si doveva, poiché la sua freccia era
inevitabile. Musio tendeva l’arco e capivi che il tuo destino si
compiva; avevi pochi istanti perché roteasse ancora nella tua mente
tutto quel che era stato. Musio scoccava la freccia e…
… Lo scontro
era imminente. Forse l’imperatore Federico avrebbe voluto
evitarlo, ma gli uomini della Lega, uniti come non mai, erano decisi
alla lotta. Alberto ordinò l’assalto. Quel giorno di maggio i
confederati l’avrebbero avuta vinta sulle truppe tedesche. …
Ma
una triste sorte attendeva Musio; egli, infatti, isolato e
accerchiato, fu fatto prigioniero dagli armigeri al servizio del
margravio Euwulf. Costui gli fece grazia della vita, ma lo condusse
con sé in Germania e, non pago di carcerarlo nelle segrete del
proprio castello, ordinò che gli fossero cavati gli occhi, affinché
non potesse più combattere. …
Un
giorno l’imperatore venne a visitare il suo vassallo, e il
margravio organizzò per l’occasione un grande banchetto,
allietato da buffoni, menestrelli e giocolieri. … Corse voce che
nelle carceri del castello viveva ancora il terribile arciere.
Federico, memore di quanti valorosi soldati erano caduti sotto le
sue frecce, chiese che fosse portato al suo cospetto. –Ho voluto
vederti perché mi ricordo che eri un soldato coraggioso, un
avversario leale e soprattutto un arciere
infallibile. –Lo sono ancora, Sire. Un mormorio di stupore si levò
fra tutti i presenti. –E come può essere –domandò Federico–
se non ci vedi più? –In battaglia, quando la notte più buia
rendeva ciechi tutti gli uomini, il rumore di un passo, il cigolio
di un’armatura, lo scalpiccio di un cavallo mi erano sufficienti
per indirizzare la mira, e voi sapete, Sire… … –Vediamo dunque
se ciò che affermi è vero– disse l’imperatore, e ordinò che
il capo dei suoi arcieri portasse il miglior arco di cui disponeva e
la freccia più diritta.
Poco dopo
l’ufficiale tornò nella sala. Musio prese con mano tremante
l’arco che gli veniva porto, non parendogli vero di poter toccare
ancora il fedele compagno di tante battaglie, e subito le dita avide
corsero a tentarlo qua e là, a impugnarlo, a pizzicare la corda,
che ben rispose, con un suono simile al verso di una rondine. Gli fu
data la freccia, ne sentì la punta, la incoccò. … Di colpo i
menestrelli smisero di suonare, i buffoni di ridere e tutti i
commensali tacquero. Solo Euwulf osò rompere il silenzio: –Prova
a colpire questa, se ci riesci– e così dicendo rise beffardo e
scagliò l’aurea coppa che aveva davanti a sé contro il muro. Ma
il tracotante ghigno si mutò in una smorfia di orrore: non si era
ancora spento il clangore dell’oro che cadeva sul pavimento di
pietra, che già il dardo lo aveva colto, trapassandogli il collo da
parte a parte. …
Il
mattino dopo, all’alba, due uomini a cavallo furono visti
allontanarsi dal castello. … Un monaco accompagnava l’arciere
cieco, cui l’imperatore aveva ridato la libertà e concesso di
tornare al paese natale di Cernusco, presso Milano.
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